Sul Testo Unico per gli Enti Locali (TUEL) all’articolo 3 comma secondo si legge “Il comune è l’ente
locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo”.
I Comuni curano gli interessi delle comunità erogando servizi, per tanto, lo sviluppo si ottiene
maggiormente erogando un buon servizio alla cittadinanza. I programmi elettorali contengono sempre
promesse di un incremento dell’occupazione e dello sviluppo economico delle aree in cui i candidati
vogliono esser chiamati ad amministrare. Nei programmi si promettono sempre attrazioni di grandi
capitali e realizzazione di mastodontici progetti.
Noi dedicheremo il programma a quel che i Comuni possono fare, migliorare i servizi offerti e operare
nei limiti in cui un’amministrazione ha il potere di farlo per incentivare i consumi all’interno della
propria competenza territoriale.
Maggiori e migliori servizi implicano l’uso razionale, imparziale, parsimonioso, accurato delle risorse
a disposizione dei sindaci e delle giunte.
Il nostro programma non prevede la stesura di una lunga serie di opere da realizzare, che suonano
sempre come grandi promesse e che poi nella maggior parte dei punti, a fine legislatura, sono tutte
irrealizzate o irrealizzabili. Noi tratteremo il nostro programma andando ad analizzare le situazioni
in maniera dettagliata per quanto di competenza.
Dopo l’avventura elettorale, ORA è davvero il momento di decidere cosa vogliamo fare insieme e come organizzarci per farlo. Se il nostro intento è quello di cambiare realmente le sorti di questo paese, dovremo puntare a costruire una grande forza politica popolare, di massa, ispirata ai principi costituzionali, in grado di incidere sul governo e di attuare una vera e propria riconquista democratica delle istituzioni. Per riuscirci non basta la forma troppo labile di movimento né possiamo affidarci alle formule del passato, come un partito di tipo tradizionale, basato sulla delega della rappresentanza. Questo atto costituisce una vera e propria “rivoluzione copernicana della politica” in quanto fa venir meno la storica dicotomia tra rappresentato e rappresentante, tra “sociale” e “politico”, foriera di tanti malintesi e divisioni e la cui divaricazione è stata progressiva e appare insanabile. Se vogliamo che si possa ricomporre la miriade di lotte e conflitti che attraversano la società che sono oggi relegati all’irrilevanza proprio a causa della loro frammentazione, le persone che animano questi conflitti dovranno aver modo, , di auto-rappresentarsi , la meta- struttura in grado di unire e trainare i loro sforzi e dargli così capacità di incidere sul reale. Per creare questo spazio serve una forma organizzativa ben definita ma non gerarchica, nella quale il potere decisionale sia esercitato dalla base degli aderenti in modo orizzontale e trasparente. È necessario perciò andare oltre l’assemblearismo tradizionalmente inteso, con i suoi noti limiti: difficoltà di partecipazione, tempi ristretti, possibilità di condizionare le decisioni da parte di “soggetti forti e/o organizzati”, incertezza procedurale, limiti che non consentono di assumere decisioni pienamente democratiche, specialmente con grandi numeri di partecipanti. Altrettanto è necessario andare oltre il cosiddetto “metodo del consenso”, come viene comunemente praticato, in cui anche un piccolissimo gruppo può acquistare un potere di veto sproporzionato. Serve invece facilitare la partecipazione politica a tutti coloro che oggi, per le più varie ragioni, ne sono esclusi e chiarificare il processo decisionale codificandolo in procedure certe e trasparenti, basate su mozioni scritte.La grande sfida che si presenta alla politica oggi è quella di riuscire a governare, nell’interesse della collettività, la complessità di un mondo messo sotto sopra dal capitalismo predatorio; per affrontarla, la Politica stessa deve saper cambiare, evolvere verso forme capaci di valorizzare al meglio il contributo di tutte le soggettività in lotta, ricercando, sperimentando e mettendo a punto prassi del tutto nuove. A tal fine possiamo trarre ispirazione da altre esperienze che in Europa ci sono affini e con le quali siamo già in contatto: da Podemos a “La France Insoumise”, dal New Labor al “Bloco de Esquerda”, si stanno sperimentando forme di partecipazione basate sull’uso di strumenti informatici che consentono non solo lo scambio di informazioni e lo sviluppo del dibattito ma anche e soprattutto di assumere decisioni in modo collettivo, trasparente e democratico. Dalla scelta del metodo dipendono, al contempo, credibilità ed efficacia della nostra azione politica: partendo dal basso, solo un’organizzazione credibile sul piano della democrazia interna può oggi essere attrattiva e così crescere fino a raggiungere i propri scopi. Serve costituire subito un gruppo di lavoro che si occupi di individuare la piattaforma decisionale più adatta alle nostre esigenze . Sia chiaro che la futura “assemblea permanente” derivante dall’uso congiunto di questi strumenti telematici, continuerebbe ad avvalersi di assemblee ed incontri in presenza, indispensabili per mettere a confronto analisi e proposte su questioni complesse o sulle quali non vi sia univocità di vedute; la fase decisionale invece andrebbe rinviata a un momento successivo e affidata all’uso della piattaforma. Insieme alle pratiche mutualistiche sui territori, solo la messa a punto di prassi di partecipazione come queste può far emergere una coscienza e una volontà collettive in grado riportare la politica al passo coi tempi e ridarle presa sul reale. Solo con questa apertura e innovazione, potremo evitare che si fallisca, come i vari precedenti tentativi di costituire il soggetto politico dell’alternativa, a causa del rifiuto di assumere la questione del metodo come discriminante.